Celio è un giovane dalla carriera brillante ma dalle amicizie discutibili. Nel 56 a.C. si mette nei guai e viene chiamato a processo. A difenderlo c’è uno dei migliori avvocati sul mercato: Cicerone.

Su Celio pendono due accuse:

  1. Aver corrotto degli schiavi per uccidere Dione, ambasciatore di Alessandria.
  2. Aver tentato di avvelenare Clodia che gli aveva prestato il denaro per corrompere gli schiavi ed era quindi diventata una testimone pericolosa.

Dietro queste imputazioni si nascondono fittissime trame politiche, di cui Celio è solo una pedina. Cicerone lo sa, ma evita di impelagarsi in discorsi spinosi e preferisce giocare la carta dell’ironia, sminuendo il goffo avvocato dell’accusa, ridicolizzando le dicerie sulle abitudini viziose del suo protetto e soprattutto mettendo in pessima luce Clodia, ritratta come un’amante libertina, una manipolatrice e tutte le cose peggiori che possono essere attribuite a una donna dell’epoca. (Per fortuna dalla sua Clodia ha Catullo, che le scrivecarmi bellissimi e la supplica di dargli basia mille, deinde centum, deinde mille altera…)

Cicerone intrattiene il suo pubblico e demolisce ogni preconcetto sull’imputato. Persino la vicinanza al tanto detestato Catilina non deve influire sul giudizio finale.

A cosa serve quindi  leggere la “Pro Caelio” oggi? Innanzitutto, come spiega Cicerone, a capire che c’è una bella differenza tra un’accusa e una calunnia. Guardate il video per scoprire quale.